Grazie Alessandro. Per portarci a riflettere su tutto ciò a cui non siamo più abituati. Il titolo per me rappresenta il mondo che ho dentro e che in questa società fatico ad esprimere senza essere considerata "invasata", mi succede se parlo di salario mai consono ai costi della vita. Però poi se compro online tutti a puntarmi il dito contro "eccola cedi al consumismo" e forse lo faccio ma non toglie che i salari siano troppo bassi. Lavoro nel sociale (in una comunità psichiatrica) quindi puoi immaginare come sia difficile vivere dignitosamente con il nostro stipendio ma tutti a dirti "beh ringrazia che hai un lavoro" ma con 1.400 euro al mese con turni e notti e festività lavorate cosa posso fare quando in un inverno si spendono 1.000 solo di gas, fare la spesa è diventata una battaglia e se hai un problema ad un dente devi vendere un rene. Ecco scusa sembra uno sfogo e forse lo è . Ma è per ringraziarti per la tua lotta che sento nostra!
Mi sono commosso un bel po', soprattutto ai ringraziamenti, Alessandro. Sono diventato papà anche io da poco, quasi 7 mesi. Seguo lei e Francesca, sui social (che sto usando sempre meno per un sentimento simile al suo) e qui. Siete capaci di riabilitare gli sbagli, di rendere giustizia alle contraddizioni, di aumentare consapevolezze senza ergervi su piedistalli fittizi, e lo fate infondendo parole di coraggio. Ma non quel coraggio vanaglorioso, opposto alla paura che annulla le emozioni, quel coraggio fatto anche di paure, quel coraggio che fa immaginare futuro, in un modo fortemente comunitario. Quindi la ringrazio e vi ringrazio, certo che leggerla, anche nelle righe e tra le righe del suo libro, sarà un piacere.
Grazie Alessandro. Sei una voce importante del nostro contemporaneo e ti ringrazio per le analisi lucide che ci mettono in discussione ma ci fanno sentire anche meno soli e meno sbagliati in questo contesto disgregato e imploso del giornalismo. Vorrei comprare il libro e vorrei sapere (probabilmente no): c’è una piattaforma di acquisto dalla quale ti arriva una percentuale più alta?
Un'obiezione al PS2: nessuno deve richiedere piu' coerenza ad un giornalista che ad un operaio, tuttavia la coerenza e' importante anche e soprattutto sul lavoro. Esattamente come io mi professo di sinistra ed evito di fare la programmatrice per Leonardo (& co), un giornalista puo' evitare di pubblicare un libro sulla questione di classe con Mondadori.
Il tuo appunto è, perdonami, problematico. Perché implicitamente affermi che ognuno di noi abbia la libera scelta di decidere quale lavoro fare e dove.
Significa affermare implicitamente che un operaio di Stellantis stia scegliendo di lavorare per gli Elkan anziché in una ditta etica.
Significa non comprendere che le storie delle persone non possono essere appiattite solo nella loro individualità ma nelle condizioni, collettive, in cui versano.
Oltretutto non tutti hanno una famiglia in grado di coprire le spalle in caso di vuoti in attesa della "scelta etica". Non tutti hanno un ventaglio di possibilità.
Significa, in ultima analisi, affermare che noi siamo il nostro lavoro e la scelta del lavoro sia libera e sempre consapevole. È pericolosissimo, perché responsabilizza gli individui senza analizzare le cause strutturali della società.
Ti dici di sinistra ma questo è pensiero di destra.
Io vivo di scrittura, scrivendo (in modo precario) pago mutuo e mantengo la mia famiglia. La libera scelta che tu potresti fare per me sarebbe molto più difficile.
Se poi vogliamo fare il gioco della coerenza posso trovare molte dimensioni in cui non lo sei. Ma dobbiamo tutti partire dal presupposto che il capitalismo ci impone di vivere nella contraddizione, inaridendo le possibilità.
Questo, per me, è più di sinistra che fare la morale ad un lavoratore per una condizione di subordinazione. Ne ho parlato anche sulla mia newsletter "Sei coerente".
Hai completamente ragione su tutto, eccetto che per la contestualizzazione. Il mio commento attribuisce una pericolosa indistinta responsabilità individuale eccessiva e me ne scuso.
Però se come dici, ed è verissimo, le storie non possono essere appiattite, dare un peso al contesto è importante. Un operaio, un proletario, non ha assolutamente le stesse possibilità di un giornalista. È un paragone del tutto fuoriluogo.
Un operaio di Stellantis, con famiglia e mutuo, non è nella stessa condizione di un giornalista, con famiglia e mutuo, e un notevole seguito sui social. E non parlo di soldi, parlo di possibilità e di privilegio di essere cosciente di queste possibilità. Senza contare il fattore geografico, che per un operaio è molto più significativo e restrittivo che per una persona che fa un lavoro intellettuale. Fingere che queste condizioni al contorno non esistano è una generalizzazione non proprio logica.
Tra l'altro, come avevo scritto ma forse in termini troppo generali, il mio è proprio solo un commento in merito a quel tentativo di auto-assoluzione del post scriptum 2: sono sicura che tu abbia avuto i tuoi motivi per pubblicare con Mondadori (e tutto quello che rappresenta e ha rappresentato per il giornalismo e l'editoria), esattamente come chi è iscritto alla tua newsletter li ha per trovarla una scelta opinabile.
Però Martina scusami la franchezza ma se vuoi basare le tue argomentazioni "sul contesto" non puoi non conoscerlo.
Il lavoro del giornalista, soprattutto dal 1996 in poi, è caratterizzato da sistemica precarietà e, soprattutto nelle posizioni entry level, difficoltà di natura economica. Tra alta richiesta, stage e tirocini gratuiti, zero sindacalizzazione e paghe da fame (sulle testate nazionali siamo arrivati anche ai 18 euro ad articolo) questo per i più non è un lavoro dignitoso. Certo, ci sono giornalisti strapagati, ma la media degli stipendi è una media trilussiana. Tanto che, nei fatti, il giornalista è un lavoro per ricchi, per chi ha una famiglia in grado di assorbire anni di studi e lunghi periodi di discontinuità salariale (riporto dei dati sulla mia newsletter legata alla creatività). Per cui sbagli quando dici che questo sia un mestiere da privilegio, anzi io non godo di tutele contrattuali considerate in altri settori "minimi requisiti di dignità".
Poi l'argomento "ad follower" onestamente lo lascerei: anni di apparenza social hanno fatto credere alle persone che i follower si traducessero in denaro. Io non ho mai accettato nessun tipo di sponsorizzazione, e me ne sono state proposte parecchie. Risultato? Non ti darò la mia dichiarazione dei redditi ma sono una di quelle famiglie che, senza alcuna rete genitoriale, è costretta ad abitare lontano dalla mia città (Roma) e andare a vivere in provincia. Che privilegio sarebbe questo? Espulsione di classe. Mi dispiace ma respingo con fermezza le tue considerazioni, mi sembrano poco calate nella realtà e basate su un pregiudizio sempre più falso per cui il lavoro intellettuale garantisca a tutti condizioni materiali di privilegio. Ti invito, la prossima volta, a trasformare le tue affermazioni in domande. Più che altro perché qualcuno potrebbe sentirsi urtato. Grazie, a presto!
Grazie Alessandro. Per portarci a riflettere su tutto ciò a cui non siamo più abituati. Il titolo per me rappresenta il mondo che ho dentro e che in questa società fatico ad esprimere senza essere considerata "invasata", mi succede se parlo di salario mai consono ai costi della vita. Però poi se compro online tutti a puntarmi il dito contro "eccola cedi al consumismo" e forse lo faccio ma non toglie che i salari siano troppo bassi. Lavoro nel sociale (in una comunità psichiatrica) quindi puoi immaginare come sia difficile vivere dignitosamente con il nostro stipendio ma tutti a dirti "beh ringrazia che hai un lavoro" ma con 1.400 euro al mese con turni e notti e festività lavorate cosa posso fare quando in un inverno si spendono 1.000 solo di gas, fare la spesa è diventata una battaglia e se hai un problema ad un dente devi vendere un rene. Ecco scusa sembra uno sfogo e forse lo è . Ma è per ringraziarti per la tua lotta che sento nostra!
Mi sono commosso un bel po', soprattutto ai ringraziamenti, Alessandro. Sono diventato papà anche io da poco, quasi 7 mesi. Seguo lei e Francesca, sui social (che sto usando sempre meno per un sentimento simile al suo) e qui. Siete capaci di riabilitare gli sbagli, di rendere giustizia alle contraddizioni, di aumentare consapevolezze senza ergervi su piedistalli fittizi, e lo fate infondendo parole di coraggio. Ma non quel coraggio vanaglorioso, opposto alla paura che annulla le emozioni, quel coraggio fatto anche di paure, quel coraggio che fa immaginare futuro, in un modo fortemente comunitario. Quindi la ringrazio e vi ringrazio, certo che leggerla, anche nelle righe e tra le righe del suo libro, sarà un piacere.
Grazie di cuore
🥲
Ho già preordinato il libro, posso dirti solo grazie perché so già che mi sentirò a casa
👏❤️🔥
Grazie Alessandro. Sei una voce importante del nostro contemporaneo e ti ringrazio per le analisi lucide che ci mettono in discussione ma ci fanno sentire anche meno soli e meno sbagliati in questo contesto disgregato e imploso del giornalismo. Vorrei comprare il libro e vorrei sapere (probabilmente no): c’è una piattaforma di acquisto dalla quale ti arriva una percentuale più alta?
Un'obiezione al PS2: nessuno deve richiedere piu' coerenza ad un giornalista che ad un operaio, tuttavia la coerenza e' importante anche e soprattutto sul lavoro. Esattamente come io mi professo di sinistra ed evito di fare la programmatrice per Leonardo (& co), un giornalista puo' evitare di pubblicare un libro sulla questione di classe con Mondadori.
Il tuo appunto è, perdonami, problematico. Perché implicitamente affermi che ognuno di noi abbia la libera scelta di decidere quale lavoro fare e dove.
Significa affermare implicitamente che un operaio di Stellantis stia scegliendo di lavorare per gli Elkan anziché in una ditta etica.
Significa non comprendere che le storie delle persone non possono essere appiattite solo nella loro individualità ma nelle condizioni, collettive, in cui versano.
Oltretutto non tutti hanno una famiglia in grado di coprire le spalle in caso di vuoti in attesa della "scelta etica". Non tutti hanno un ventaglio di possibilità.
Significa, in ultima analisi, affermare che noi siamo il nostro lavoro e la scelta del lavoro sia libera e sempre consapevole. È pericolosissimo, perché responsabilizza gli individui senza analizzare le cause strutturali della società.
Ti dici di sinistra ma questo è pensiero di destra.
Io vivo di scrittura, scrivendo (in modo precario) pago mutuo e mantengo la mia famiglia. La libera scelta che tu potresti fare per me sarebbe molto più difficile.
Se poi vogliamo fare il gioco della coerenza posso trovare molte dimensioni in cui non lo sei. Ma dobbiamo tutti partire dal presupposto che il capitalismo ci impone di vivere nella contraddizione, inaridendo le possibilità.
Questo, per me, è più di sinistra che fare la morale ad un lavoratore per una condizione di subordinazione. Ne ho parlato anche sulla mia newsletter "Sei coerente".
Grazie del contributo, a presto!
Hai completamente ragione su tutto, eccetto che per la contestualizzazione. Il mio commento attribuisce una pericolosa indistinta responsabilità individuale eccessiva e me ne scuso.
Però se come dici, ed è verissimo, le storie non possono essere appiattite, dare un peso al contesto è importante. Un operaio, un proletario, non ha assolutamente le stesse possibilità di un giornalista. È un paragone del tutto fuoriluogo.
Un operaio di Stellantis, con famiglia e mutuo, non è nella stessa condizione di un giornalista, con famiglia e mutuo, e un notevole seguito sui social. E non parlo di soldi, parlo di possibilità e di privilegio di essere cosciente di queste possibilità. Senza contare il fattore geografico, che per un operaio è molto più significativo e restrittivo che per una persona che fa un lavoro intellettuale. Fingere che queste condizioni al contorno non esistano è una generalizzazione non proprio logica.
Tra l'altro, come avevo scritto ma forse in termini troppo generali, il mio è proprio solo un commento in merito a quel tentativo di auto-assoluzione del post scriptum 2: sono sicura che tu abbia avuto i tuoi motivi per pubblicare con Mondadori (e tutto quello che rappresenta e ha rappresentato per il giornalismo e l'editoria), esattamente come chi è iscritto alla tua newsletter li ha per trovarla una scelta opinabile.
Grazie per la riflessione!
Però Martina scusami la franchezza ma se vuoi basare le tue argomentazioni "sul contesto" non puoi non conoscerlo.
Il lavoro del giornalista, soprattutto dal 1996 in poi, è caratterizzato da sistemica precarietà e, soprattutto nelle posizioni entry level, difficoltà di natura economica. Tra alta richiesta, stage e tirocini gratuiti, zero sindacalizzazione e paghe da fame (sulle testate nazionali siamo arrivati anche ai 18 euro ad articolo) questo per i più non è un lavoro dignitoso. Certo, ci sono giornalisti strapagati, ma la media degli stipendi è una media trilussiana. Tanto che, nei fatti, il giornalista è un lavoro per ricchi, per chi ha una famiglia in grado di assorbire anni di studi e lunghi periodi di discontinuità salariale (riporto dei dati sulla mia newsletter legata alla creatività). Per cui sbagli quando dici che questo sia un mestiere da privilegio, anzi io non godo di tutele contrattuali considerate in altri settori "minimi requisiti di dignità".
Poi l'argomento "ad follower" onestamente lo lascerei: anni di apparenza social hanno fatto credere alle persone che i follower si traducessero in denaro. Io non ho mai accettato nessun tipo di sponsorizzazione, e me ne sono state proposte parecchie. Risultato? Non ti darò la mia dichiarazione dei redditi ma sono una di quelle famiglie che, senza alcuna rete genitoriale, è costretta ad abitare lontano dalla mia città (Roma) e andare a vivere in provincia. Che privilegio sarebbe questo? Espulsione di classe. Mi dispiace ma respingo con fermezza le tue considerazioni, mi sembrano poco calate nella realtà e basate su un pregiudizio sempre più falso per cui il lavoro intellettuale garantisca a tutti condizioni materiali di privilegio. Ti invito, la prossima volta, a trasformare le tue affermazioni in domande. Più che altro perché qualcuno potrebbe sentirsi urtato. Grazie, a presto!