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Probabilmente anche tu, come me, stai sperimentando una certa insofferenza nei confronti di Instagram. O quantomeno di quella parte di Instagram legata all’attivismo e che, forse, sta per arrivare al capolinea. Caroselli, spiegoni, reel. Continuiamo a fruirne ma siamo sempre più annoiati dalla politica espressa sui social. Al pari di una dose di anestetico, scorriamo il feed vedendo, interagendo, magari commentando. Ma sentiamo tutto questo sempre più distante. Perché questo stia succedendo, almeno secondo la mia personale opinione, ve lo racconto però dopo, alla fine di questa mail.
Ma, credo, è indissolubilmente legato ad una delle accuse che mi vengono mosse più spesso che mi porta a parlare del puritanesimo di sinistra: Alessandro Sahebi, parli tu che lavori a Le Iene! Che incoerenza!
La coerenza è un lusso
Già quando friggevo patatine a McDonald’s per mantenermi gli studi mi sentivo profondamente incoerente. Ho mangiato pane e politica da quando avevo tredici anni, ho iniziato la militanza a quindici ma a diciotto lavoravo per uno dei simboli più iconici del capitalismo e mi sentivo per questo sporco, sentivo che il mio cammino politico stava inesorabilmente dirigendosi verso il declino. Per fortuna, diciassette anni dopo, posso dire che mi sbagliavo di grosso.
Ci ho messo tanto a decostruire questa sensazione, ho investito parecchio in sofferenza per comprendere che non tutti abbiamo il lusso di un’alternativa.
Del resto i soldi per pagarmi l’università in casa non c’erano e, complice la crisi del 2009 e l’alto tasso di disoccupazione dell’epoca, chi aveva un lavoro doveva tenerselo stretto.
Oggi nessuno, o nessuno con un po’ di sale in zucca, affermerebbe con convinzione che un magazziniere di Amazon o uno scaffalista di Esselunga siano incoerenti in quanto meccanismi del sistema.
Accusa che però diventa stranamente accettabile per alcune categorie di lavoratori e lavoratrici, giornalisti in primis, che invece non sembrano essere meritevoli dell’empatia paternalista che le élite culturali riservano alla working class. Poco importa se il nostro mestiere è uno dei lavori meno pagati e più caratterizzati da scarsità e precarizzazione: il giornalista deve essere moralmente integerrimo, le dinamiche del capitalismo valgono solo per le mani callose e unte dell’operaio nel suo grottesco immaginario ottocentesco. Se scrivi per mestiere e hai le mani linde sei, per natura, un privilegiato. E in quanto tale devi essere, appunto, coerente. Certo, se lavorassi per una testata indipendente queer e zapatista mi risparmierei i messaggi accusatori che sottolineano la mia presunta collusione con il Male e non attirerei antipatie di personaggi più o meno pubblici che ogni tanto di questo mi accusano. La verità è che io che vengo dalla povertà assoluta non ho potuto mai scegliere davvero: non ho frequentato i prestigiosi master che permettono di percorrere il red carpet delle redazioni italiane, ho scelto quello che ho scelto perché l’alternativa era scegliere lo sfratto o l’interruzione delle utenze.
La coerenza è un lusso di cui non tutti possiamo godere, perché non tutti godiamo di un paracadute familiare in grado di darci tempo e risorse per trovare un’alternativa all’essere ritenuto un servo del potere.
Che poi diciamolo, la fuga dal mainstream e dall’incoerenza è quanto di più stupido si possa concepire, da un punto di vista politico.
Riconquistare lo spazio del mainstream
L’idea che la cultura mainstream debba essere per forza cooptata dal potere, e che quindi non sia possibile fare altro che ritirarsi da essa, è profondamente sbagliata. Non lo dico per logica né per convinzione, lo dico perché guardo le persone.
Se le persone preferiscono chiedere aiuto ad un programma televisivo generalista anziché a testate la cui unica attività sembra quella di descrivere chi è di destra come rozzo e ignorante, forse a sinistra abbiamo un problema di postura comunicativa.
Forse dobbiamo semplicemente riconoscere l'utilità e il ruolo sociale del mainstream che la gente comune riconosce e, eventualmente, ambire alla sua riconquista.
Il mainstream, per quanto il contenitore possa essere di nostro gradimento, offre una piattaforma trasformativa che spesso fa la differenza nella vita delle persone. Grazie a Le Iene ho aiutato dei lavoratori dei servizi fiduciari a liberarsi dalle ingiuste vessazioni di un dirigente de La Sapienza di Roma e ho permesso che venisse fatta luce su dei guru del se vuoi puoi che hanno impoverito e assoggettato psicologicamente decine di persone fragili. E cito solo alcuni dei miei ultimi servizi.
Questo non mi è mai riconosciuto nella retorica della coerenza, la macchia (che non ritengo di dovermi sentire, va detto) resta, ed è indelebile. Non ho il diritto di essere un lavoratore costretto, come tanti, a vivere in questo sistema e di questo sistema. Ho solo, secondo alcuni, il dovere morale di dover preferire il ritiro eremitico altrove. Chissà come, chissà dove.
La fuga dal mainstream e dalle sue contraddizioni, in realtà, equivale al chiudersi in riserve indiane, isolandosi e rifiutando il nodo della contraddizione, in quelle che Mark Fisher definiva forme di modernità alternativa.
Fondare un blog, vivere sull’appennino tosco-emiliano coltivando canapa o collaborare con una cooperativa di agricoltura biodinamica non sono atti trasformativi efficaci, per quanto coerenti.
Sono fughe dal reale, sono sponde per lo status quo perché tolgono teste e braccia alla lotta.
Abitare in via della Contraddizione
Secondo alcuni Karl Marx ci avrebbe detto di vivere come San Francesco: poveri, scalzi e santi. O coerenti.
Eppure, vi sorprenderà, in nessuno dei suoi testi era consigliato di aprire una bottega equosolidale. Lungi dall’annoiarvi con esegesi da arcigno leninista è innegabile che il barbuto abbia avuto negli anni un’influenza nel pensiero che grossolanamente definiamo di sinistra e per questo sia doveroso tenerne conto quando affrontiamo la questione.
Bene. Karl Marx ha analizzato il sistema economico-sociale della sua epoca e ha individuato il meccanismo di funzionamento (e di successivo rovesciamento) del capitalismo nella classe operaia. Questo significa che per il filosofo tedesco le contraddizioni lavorative e di consumo andavano lette ed abitate, non rifuggite.
L’idea che il nostro lavoro debba necessariamente essere coerente con i nostri valori è, in ultima analisi, un’idea profondamente di destra. Lo è nella misura in cui nega il rapporto sociale ed economico del lavoro stesso, riducendolo ad un fatto privato. Lo è perché identifica le persone in virtù del lavoro che scelgono di fare, negando che per i più questa scelta non è che una forma di coercizione gravata dalle catene del bisogno e dell’appartenenza di classe. Lo è perché problematizza la sfera soggettiva e solleva dalle proprie responsabilità la collettività, unica dimensione in cui esistono le contraddizioni che regolano il mondo in modo ingiusto.
Lo è perché non riconosce che quello che comunemente viene definito “possibilità” per alcuni non è nient’altro che “l’unica strada possibile”.
Lo è perché spesso espressa da cluster di classe ben istruiti, appartenenti alla middle class e immersi nel lusso di poter scegliere. Persone con valori di sinistra ma meccanismi di pensiero di destra fatti di convinzioni inamovibili, sedicente rettitudine morale e, appunto coerenza.
Siamo nell’epoca, forse, in cui i moralizzatori dogmatici siamo noi. Siamo nell'epoca (e forse già al tramonto) del puritanesimo di sinistra.
Il puritanesimo di sinistra (e la fine dell’attivismo-Instragram?)
L’attivismo digitale sembra essersi impantanato in un atteggiamento perfezionista che punta il dito perennemente al prossimo, verso un'ossessiva ricerca di disciplina morale che ha trasformato la politica in una giostra puritana dove i sacerdoti della rettitudine hanno il dovere quasi quotidiano di evidenziare ogni nostro inciampo, insegnarci nuovi termini in inglese che alzino ulteriormente la soglia di pericolo d’errore, di pontificare dall'alto verso il basso. Spiegazioni incessanti, finalizzate a farci sentire in colpa perché non siamo stati abbastanza inclusivi, abbastanza sensibili o abbastanza coerenti.
Non importa cosa fai, per i puritani di sinistra è importante farti sentire in colpa per il solo errore di aver pensato a qualcosa senza renderti conto che, almeno per loro, era qualcosa di velatamente omofobo, razzista o grassofobico.
Negli anni immediatamente successivi alla pandemia questa piattaforma ci ha aperto nuovi mondi e nuovi spazi di riflessione. Poi ci siamo tutti trovati ad un bivio: dare forma politica a questa nuova forma di attivismo, costruendo un’alternativa, o continuare a definire cosa non va nel mondo, restando appiccicati alla fase decostruttiva. Abbiamo scelto la seconda.
Se non fosse che, a distanza di ormai quattro anni, ha stancato tutto. Ci ha stancato l’essere spettatori passivi, ci ha stancato l’essere alunni di maestri morali incontentabili. Non ci sorprende più lo scoprirci imperfetti, non vediamo più caroselli e storie come un’occasione di miglioramento.
Lo dicono i numeri, il sentiment delle persone, il tempo che ognuno di noi dedica all’interesse politico attraverso Instagram. E lo dicono i contenuti: il pelo nell’uovo è sempre più sottile e noi siamo sempre più stanchi dell’esacerbarsi della durezza e della pignoleria di questo puritanesimo.
Non abbiamo bisogno di Santi, abbiamo bisogno di cittadini
Si dimentica spesso che, in una democrazia autentica, non abbiamo bisogno di santi e predicatori con il microfono. Abbiamo bisogno della partecipazione collettiva, abbiamo bisogno di rimettere al centro le persone in modo attivo. Abbiamo bisogno delle masse. L'attivismo puritano di sinistra è diventato l'antitesi di questo: pochi parlano, gli altri (i follower) ascoltano. E quei pochi sono legittimati dalla purezza ideologica e dalla pratica immacolata.
Le strade che si possono intraprendere sono due: accettare il percorso dell'autoflagellazione perpetua e dell'umiliazione individuale, tipico del puritanesimo di sinistra, o l'energia caotica e incoerente (ma trasformativa) delle masse. Scegliere quest'ultima significa affermare che le contraddizioni personali sono il prodotto di forze sociali, politiche, storiche, economiche e culturali che trascendono l'individuo. E che non per tutti sono una scelta.
Il lavoro che facciamo non definisce il nostro valore politico. Quasi mai lo è, quando si è parte della classe lavoratrice.
Non poter fuggire dalla contraddizione non è una colpa, è il prodotto di rapporti di forza che spesso non possiamo controllare. E su cui non abbiamo alcuna scelta. Evadere dalla gabbia della coerenza è un manifesto politico.
Piaccia o non piaccia ai puritani di sinistra.
Alcune novità
Come credo abbiate notato scrivo poco in questo periodo. Non ho mai scritto molto, lo faccio solo se ritengo di avere qualcosa di vagamente intelligente da dire. Parte del lungo silenzio questa volta è dovuto a quanto mi è accaduto in questi mesi, costellati di immense gioie e profondi dolori personali.
Ci tengo a ringraziare tutti coloro che, nel frattempo, non hanno fatto mancare il proprio sostegno e la propria presenza. La sensibilità e la cura che avete messo anche solo per mandarmi un saluto è meravigliosa. Mi piacerebbe potervi ringraziare uno ad uno, anche se mi sarebbe davvero impossibile.
Pian piano sto riprendendo gli eventi dal vivo, magari ci incontreremo lì. Devo ancora aggiornare il sito ma questa estate mi vedrete più spesso per l’Italia.Ringrazio anche i 1711 sostenitori e sostenitrici che, ogni mese o una tantum, sostengono il mio lavoro con un caffè virtuale.
Fare divulgazione circa temi così strutturali (come le disuguaglianze economiche o le contraddizione del capitalismo) ovviamente non attira sponsor o grandi gruppi editoriali, ovviamente.
Ho così deciso di iniziare un progetto dal basso per questo motivo. Per provare a non tradire ciò in cui credo quando mi occupo di questi temi, innanzitutto.Solo se puoi permettertelo e solo se te la senti, puoi dedicarmi qualche minuto e offrirmi un caffè. Non è necessario, chiaramente, la mia newsletter resterà gratuita e accessibile per tutti, per sempre. Puoi contribuire affinché chi non ha la possibilità di farlo possa fruire di questo contenuto.
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Grazie, hai articolato un malessere che oramai avevo da mesi in certi ambienti online che frequento e non capivo.
Tempismo inquietante… Settimana di sensi di colpa e in cui ho finito di leggere “Realismo capitalista”. Tutto sacrosanto e aggiungo che, anche laddove ci fosse un’alternativa per preservare la coerenza, fuggire dal mainstream ci fa rinchiudere in bolle sempre più anguste in cui comunichiamo solo fra di noi e, di fatto, rinunciamo a parlare con le masse di pensiero (tanto o poco) differente, divenendo così totalmente inefficaci come potenziali vettori di cambiamento.