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Avanza la destra, quella nera. E di fronte a questo ad ogni “giorno dopo” non riusciamo a far molto di più che responsabilizzare il popolo bue, nella grottesca rappresentazione razzista, omofoba, misogina a cui tanto ci piace dare credito.
È sempre colpa dei boomer, dell’analfabetismo funzionale o del populismo. È colpa dei media, del Pd o della politica. Insomma colpa loro, chiunque essi siano.
E così restiamo comodamente seduti sulla barricata di chi ha capito tutto, perpetuando gli errori del progressismo occidentale senza renderci conto che l’avanzamento della destra nasconde in realtà, per semplice correlazione complementare, l’arretramento inesorabile della sinistra. Che, badate bene, non soffre tanto di scarso appeal politico, quanto di carenza di una proposta desiderabile. E utopica.
Che utopia non è una brutta parola. Ma andiamo con ordine.
Voto utile: arginare la destra o arginare il consenso?
È dal 2008 che mi viene detto che è necessario tapparsi il naso e votare Partito Democratico per arginare la destra, Berlusconi al tempo. Nel frattempo sono passati sedici anni, sono cambiati i pericolosi avversari (prima Salvini e poi Meloni) e il cosiddetto voto utile ha perso qualcosa come sei milioni di voti.
Il meccanismo che spinge l’elettore ad aderire alla chiamata del voto utile si basa sull’assunto per cui scegliere il meno peggio sia un dovere sofferto ma necessario per frenare l’avanzata dell’onda nera.
Il meccanismo, tuttavia, è a tratti perverso. Da una parte chi vota viene investito dall’enorme responsabilità di arginare la tempesta populista sacrificando il proprio voto. Dall’altra, quel voto continua ad andare a chi offre le stesse ricette politiche che hanno causato il malessere e il malcontento che favorisce l’estrema destra. In Italia, se consideriamo gli ultimi vent’anni, il meno peggio ha governato per la maggior parte del tempo.
Naturalmente chi difende il voto utile è convinto che questo amaro compromesso abbia un carattere prettamente temporaneo e che questo serva ad arginare l’imminente pericolo reazionario, in vista di un futuro miglioramento.
Tuttavia, anche qui, l’inganno elettorale è evidente. Il voto utile, ovvero il voto all’ala progressista dello status quo, in questi anni non è stato in grado di rispettare la promessa di miglioramento sociale consolidando le offerte politiche ingiuste e scadenti del capitalismo contemporaneo. Insomma, quel “domani andrà meglio” non è mai arrivato e, con il ricatto del realismo e sotto la schiacciante leva della responsabilità dell’elettore, il meno peggio si è limitato ad accettare le regole del gioco neoliberale, rimbalzandosi di tanto in tanto il potere con il “molto peggio”.
Insomma, come dice Fisher, il meno peggio non significa solo scegliere questa opzione in questo momento elettorale ma significa innanzitutto aderire ad un sistema che ti costringe ad accettare il meno peggio come massimo a cui poter aspirare.
Ma, soprattutto, voto utile ha rappresentato una sponda alla strategia di esclusione di tutti quei movimenti e partiti alternativi al capitalismo. Qualsiasi proposta politica che abbia provato a mettere in discussione i capisaldi del sistema dominante è stata infatti schernita, silenziata, infantilizzata e falsamente bollata come irrealizzabile.
Votare per un partito piccolo ma, a suo modo, rivoluzionario è stato dipinto come atto di scarso realismo. Se non fosse che il realismo del meno peggio non ha nulla a che vedere con il reale. Al contrario: il reale è ciò che il realismo del meno peggio è continuamente costretto a sopprimere.
E il reale ci urla ogni giorno che l’elettorato non vota a destra perché non riconosce le libertà o i diritti delle minoranze. Non vota a destra perché imperniato di patriarcato e sbeffeggiante ignoranza.
L’elettorato vota a destra perché ha paura.
Il futuro ci fa paura?
È connaturata all'Homo Sapiens la paura del futuro. Oggi, in un mondo sempre più dominato dal disordine neoliberale, questa paura è accentuata. La progressiva cancellazione delle tutele sociali e dei diritti, unita allo smantellamento delle strutture di welfare e sostegno agli individui, ci ha resi terribilmente fragili.
Abbiamo il terrore di perdere il lavoro, di non riuscire a pagare un mutuo o un affitto, di vedere peggiorare le nostre condizioni. E siamo dolorosamente consapevoli di essere soli, di dipendere unicamente dalle nostre forze, privati di quei paracadute collettivi che un tempo venivano definiti diritti e che oggi, erroneamente, chiamiamo privilegi.
La differenza storica tra destra e sinistra si è sempre contraddistinta nell'approccio alle soluzioni per questa paura. La destra ha sempre offerto scenari futuri conservativi, se non passatisti. Quando Donald Trump urla "Make America Great Again", sta evocando un passato di presunti splendori, un'epoca in cui gli Stati Uniti dominavano il mondo e il benessere economico sembrava alla portata di tutti. Bolsonaro, in Brasile, ha seguito una retorica simile, rimpiangendo i “bei tempi” del regime. Matteo Salvini ha fatto eco con il suo celebre "rivoglio l’Italia dei miei nonni", mentre Giorgia Meloni si appella alla sicurezza apparente di un'esistenza ancorata alla spiritualità tradizionale (Dio), all'appartenenza a uno Stato orgoglioso e presente (Patria), e alle certezze di forme di aggregazione collettiva in un'epoca di aggressivo individualismo (Famiglia).
Questa nostalgia del passato proiettata nel futuro è rassicurante, perché conosciuta. È incastonata nei ricordi di un tempo in cui ci si sentiva più protetti, più comunità, più società.
L’elettore non è stupido: nessuno con un po’ di sale in zucca crede veramente che la lancetta del tempo possa arbitrariamente essere riportata indietro attraverso un’azione politica. L’elettore però non ha scelta: il mondo cambia e cambia in modo crudele, ha paura, e si trova a dover scegliere tra un futuro posticciamente tracciato con i contorni del passato e l’alternativa del futuro di progresso e prosperità sociale proposto dalla sinistra.
Futuro che, oggettivamente, non esiste.
Un futuro desiderabile
La diffusa sensazione che permea la nostra società è che il capitalismo sia l'unico percorso politico ed economico percorribile, tanto che è ritenuto quasi folle immaginare un'alternativa concreta. Intrappolati nei limiti del reale, il massimo che possiamo fare è decorare un sistema basato sullo sfruttamento illimitato di risorse e persone, senza trovare il coraggio di andare oltre, fare la sinistra, tracciare un percorso che accompagni l’elettore in una direzione desiderabile e di progresso.
Desiderare significa esattamente questo: viene dal latino siderare, ovvero l’atto di alzare lo sguardo per fissare le stelle. È sognare ad occhi aperti.
Il fascino per gli astri ha sempre caratterizzato la nostra specie, generando miti, leggende, scoperte scientifiche. Senza il desiderio di toccare il cielo, non avremmo costruito cannocchiali, aerei, satelliti, astronavi. Abbiamo guardato la volta celeste e ci siamo promessi di raggiungere le stelle. Un’utopia che poi si è incredibilmente realizzata.
Certo, dai tempi di Icaro fino all’Apollo 13, abbiamo sperimentato numerosi insuccessi, ma non ci siamo mai arresi alla disperazione o alla paura di rimanere legati al suolo. Alla fine, abbiamo imparato a volare.
Non è curioso? Siamo riusciti a sollevare l’Homo Sapiens dal suolo dopo 200.000 anni di tentativi falliti, eppure non riusciamo nemmeno a concepire l’idea di liberarci di un sistema economico che esiste da solo pochi secoli e che continua a fare paura.
Al futuricidio del capitalismo siamo stati in grado di contrapporre poco, ci siamo nascosti nella sua accettazione. Abbiamo spento ogni utopia.
E, questa rassegnazione, finisce per essere trasmessa all’elettore.
Che diventa, nei tribunali morali di cui siamo giudici auto eletti, il cattivo votante.
Il merito della destra
In un sistema che per vari motivi non funziona abbiamo lasciato alla destra lo scettro dell’anti sistema. Essere contro non significa trovare nel rozzo elettore di destra l’ennesima etichetta da affibiargli per deumanizzarlo. Non è dandogli dell’omofobo, dei razzistia o dell’analfabeta che lo convinceremo che noi siamo migliori.
Essere contro significa proporre un modello che rappresenti un’alternativa futura alle contraddizioni del presente, significa dire alle persone è lì che ci stiamo dirigendo.
Attirerò molte antipatie, lo so. Ma la pace in Palestina, il femminile esteso o l’eliminazione della retorica classista al lavoro o in un’università sono utili a malapena a rendere il mondo più giusto, non a renderlo giusto e basta. Le battaglie che conduciamo, tutte giuste e sacrosante, non rispondono alla domanda che molti di noi si chiedono quotidianamente: che ne sarà di me domani?
Non dicono molto sul futuro, non danno soluzioni all’insicurezza e alla paura che permeano le vite precarie della maggior parte di noi. Non ci danno una direzione collettiva in grado di costruire una proposta politica se non in forme di resistenza sparsa e disordinata allo status quo.
E l’elettore, che stupido non è, di fronte alla mancanza di controllo della sua stessa esistenza si trova costretto a rispondere in due modi: o attraverso l’atto politico più svilente, la presa di coscienza della sua impotenza, con l’adesione al partito dell’astensione. Oppure affidandosi a chi promette un futuro tangibile, sicuro e alternativo. Affidandosi a chi dà risposte.
Lo sta facendo, e lo sta facendo bene, la destra. Lo sta facendo intercettando la paura e proponendo improbabili e irrealizzabili soluzioni. Ma comunque soluzioni.
Non lo stiamo facendo noi, da quando abbiamo deciso di smettere di immaginare ad un futuro desiderabile e di liberazione.
Quale è stato, in passato, il socialismo e la sua utopia.
Complimenti amari alla destra, vittoria ahimè meritata.
Ancora una volta.
A.
Note
Lo so, avevo promesso “non più di una mail al mese”. Ma non mi andava di fare post o storie su Instagram, credo che l’argomento meritasse una riflessione più profonda. Spero di non disturbare.
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Vi mando un abbraccio, alla prossima
Da un lato sono d'accordo con ciò che dici: la paura del futuro ha contribuito fortemente al crescere di queste destre, e spesso la mancanza di un disegno di futuro fatto di speranza ha spento gli animi di molti verso la sinistra. Dall'altro lato non sono completamente d'accordo con la tua analisi: chi vota destra vota anche perché ha paura, è vero. Ma molte volte chi la vota non fa parte delle classi più svantaggiate, come vuole la narrazione dominante e come smentiscono i dati: spesso fa parte di quella classe media (piccola o grande che sia) che, almeno nel nostro paese, prima votava, a maggioranza, centrodestra e poi ha abbracciato tutti i partiti di destra cresciuti negli ultimi anni (prima Salvini e poi Meloni). Una classe media sì spaventata ma molto spesso arrabbiata con i poveri, i migranti, le minoranze, quelle stesse categorie che la sinistra dovrebbe proteggere (ovviamente inclusi i lavoratori). Molte di queste persone hanno votato perché venisse abolito il reddito di cittadinanza, ricordiamocelo. Poi ovviamente in questo elettorato fa parte anche chi ha paura e basta, e magari non sostiene tutte le posizioni dei partiti di destra che vota. Però se fossero semplicemente questi a votare destra perché in molti casi non c'è stata una crescita di quei partiti di sinistra che hanno cercato di rappresentare un'alternativa al sistema? A eccezione di Podemos, Syriza e, per poco, Melenchone (ognuno in contesti differenti) le proposte radicali di sinistra non hanno goduto di grande spazio da parte degli elettori: non credo che chi voti destra sia disposto a sostenere l'alternativa "socialista" (passami il termine), anzi, spesso l'avversa. O meglio ancora, magari è sensibile ad alcune tematiche sociali (che non mi sembra si possa dire che la destra rappresenta) ma sicuramente non ha posizioni progressiste su altri temi, e ciò lo porta a preferire altri partiti. E quindi no, non tutto l'elettorato di destra è razzista o omofobo o misogino, ma questi elementi hanno sicuramente contribuito alla crescita di queste destre (penso soprattutto al tema dell'immigrazione). Ciò non significa che abbia senso appiattire tutto l'elettorato di destra e tutte le posizioni in quegli aggettivi che elenchi tu, anche solo per restituire un po' di complessità. Ma non vorrei (e non è questo il caso, ma l'ho visto accadere) che si cada in una sorta di "giustificazionismo", che con l'intento, anche giusto, di autocriticarsi e riflettere sulla complessità del reale, porti a sostenere che tutto sommato il razzismo, l'omofobia e la misoginia hanno delle giustificazioni nelle paure e difficoltà della gente e che quindi, alla fine, bisogna agire con punta di piedi su questi temi, onde evitare una "reazione" negativa. Ripeto, non credo fosse l'intento di questa mail, ma è purtroppo una certa retorica che si è diffusa in alcuni ambienti negli ultimi anni.
Le sinistre e le controproposte al capitalismo sono state sistematicamente represse e demonizzate su scala globale, non dimentichiamo.