Tax the rich: slogan da radical chic?
AOC e la polemica infinita sul Tax The Rich, un libro per inquadrare storicamente e filosoficamente la questione
Ve lo anticipo, sono andato lungo: ci sono 7-8 minuti di lettura qui!
Mi prendo lo spazio di questa mail per tornare sul tema “Tax The Rich” e colgo l’occasione per consigliare un libro che in modo tangente affronta la mia riflessione e potrebbe rivelarsi interessante per inquadrare storicamente e filosoficamente un’ideologia tanto discussa quanto spesso ancora troppo poco definita: il neoliberismo. Faccio una doverosa premessa: il libro che consiglierò è leggermente più complicato dei precedenti (nulla di impossibile sia chiaro) e nella parte finale, dopo un’analisi accurata, assume posizioni che non condivido molto. Ma del resto si legge anche per mettersi in discussione, no?
Tax the rich non è abbastanza? In molt* mi avete scritto in queste ore proponendomi riflessioni circa l’insufficienza della misura di una tassazione più progressiva per i ricchi. L’argomentazione principale che mi viene proposta è la seguente: tassare maggiormente i ricchi non risolverà le disuguaglianze e proporre questi slogan sui red carpet rischia di svuotarne il significato.
Vero. Ma si dimentica che nessuno in questo caso ha mai pensato di esaurire la complessità di una proposta politica in uno slogan. Gli slogan sono strumenti comunicativi e come tali sono funzionali a porsi come punto di partenza, mai d’arrivo.
Mi permetto inoltre una breve contestualizzazione storica per iniziare una riflessione circa il concetto di ricchezza e per provare a spiegare perché Tax the Rich non è solo una riforma fiscale.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento le principali forme di legittimazione del potere, nobiltà in primis, hanno cominciato a perdere di forza per dare spazio ad una classe emergente che da lì a breve sarebbe diventata egemone, qualcuno l’ha chiamata borghesia. Da quel momento la ricchezza non si è limitata ad essere abbondanza economica di beni materiali ma si è trasformata in pochi anni in un vero e proprio strumento di potere. Essere ricchi, di fatto, significa comandare.
Nel corso del Novecento il potere economico si è intrecciato ancora più saldamente con quello politico attraverso un sistema ideologico che ha permesso alla ricchezza di diventare un valore assoluto (assoluto nel suo significato etimologico, ab solutum: “Sciolto da ogni vincolo”). Questo sistema ideologico è stato definito neoliberalismo, o neoliberismo. Che cosa sia lo vedremo nel libro che vi consiglio. Da quarant’anni a questa parte è sempre più diffusa l’idea che i ricchi siano “la parte buona della società” e che sia necessario agevolarli con ogni mezzo, anche attraverso generosi sconti sulle tasse. I ricchi meritano agio e potere, senza alcun vincolo dunque.
In questo senso Tax The Rich non è solo uno slogan finalizzato ad una miope redistribuzione economica: se la ricchezza è potere, Tax the rich è redistribuzione di potere al popolo, letteralmente democrazia. Si tratta di una questione politica prima che di un tappabuchi fiscale: se lasciamo troppa ricchezza in troppe poche mani questo si accentrerà (come sta accadendo) distorcendo i processi decisionali democratici, trasformando i nostri Stati in moderne oligarchie. Tax the Rich è un modo veloce per comunicare questo, drammaticamente insufficiente sì, ma eccezionalmente funzionale.
E ha senso portare Tax The Rich sui red carpet? Non lo so, sta alla sensibilità di ognuno di noi: ci sono dei limiti che dovremmo porci per essere minimamente coerenti ma quali siano questo io non lo so. Come ho già detto la perfezione del messaggio e del suo portatore sono condizioni più auspicabili per chi vuole fondare una setta che per coloro che vogliono cambiare il mondo. A volte in politica bisogna saper uscire dai bordi, rimettere in discussione i mezzi se necessario.
Anche qui però vi porto con me in una breve riflessione: se la ricchezza non è più solo abbondanza economica ma è anche potere politico allora la ricchezza sarà in grado di condizionare altre dimensioni del reale, non ultima quella relativa ai costumi delle comunità.
I ricchi sono ammirati e imitati come modelli, basti badare al seguito dei Ferragnez o alle decine di informazioni quotidiane a cui siamo esposti su Bezos o Elon Musk. Occupano uno spazio comunicativo importante e condizionano i gusti e le tendenze della società. Forse con uno sguardo (troppo?) audacemente rivolto al fine è legittimo chiedersi: possiamo infestare questo loro spazio di comunicazione?
Posto che l’obiettivo sia diffondere una narrativa di contropotere, quali mezzi riteniamo essere più opportuni per ottenere questo risultato?
Possiamo legittimamente pensare che gli spazi comunicativi siano confinati alle scuole, alle fabbriche o alle piazze e forse al riparo di un gazebo ci sentiremmo più sicuri e coerenti con la nostra visione politica. Ma fin dove possiamo spingerci se dovessimo ritenere che questo non dovesse bastare? Che limiti dobbiamo darci?
Essere su Instagram è troppo poco coerente? Frequentare un salotto televisivo? Calpestare un red carpet? Che ne so! Confrontiamoci.
Non esiste una risposta definitiva, forse*, o quantomeno non possiamo saperlo in anticipo. Ma mi fa piacere rifletterne con voi e tutti i messaggi che ho ricevuto in queste ore sono stati preziosissimi per maturare e proseguire questo nostro percorso di crescita politica.
Che limiti porsi dunque?
Grazie, accetto consigli e critiche!
*= nei prossimi consigli di lettura vi metterò un libro che affronta proprio questa riflessione
Critica della ragione liberale. Una filosofia della storia corrente (A. Zhok)
Ecco il libro di questo mese! Un libro non semplicissimo ma illuminante. L’autore, Andrea Zhok, è professore all’università degli Studi di Milano.
Questo libro è una ricostruzione filosofica del pensiero neoliberale che ci aiuta ad inquadrarlo con chiarezza: chi è il Padre del neoliberismo? Cosa significa neoliberale? Quali sono gli effetti sulla nostra società? Quali i punti deboli?
Trovo l’ultima parte discutibile ma non voglio influenzare nessun*, credo sia necessario e costruttivo leggere fuori dagli schemi delle nostre convinzioni.
Un libro di filosofia, per chi mastica un po’ la materia. Magari da mettere sullo scaffale e rileggere tra qualche anno per chi non lo dovesse comprendere nella sua totalità alla prima lettura. Consigliatissimo inveceper coloro che hanno già diverse letture di filosofia politica alle spalle!
I capitoli sono molto brevi e l’autore va sempre molto dritto al punto, caratteristica che personalmente apprezzo parecchio. Zhok è chiaro, deciso, non ci gira intorno. Ma soprattutto non è avido di fonti ed esempi, ottimo testo per immergersi nell’ampia bibliografia. Al netto del contrasto ideologico mi è piaciuto parecchio.
Lo trovate in tutte le librerie, anche online! Buona lettura!
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Grazie davvero a tutt*, ci vediamo presto.
E caspita, #TAXTHERICH!
Alessandro