Ma dove sta scritto che il tuo lavoro debba essere la componente principale della tua identità? Una lettura per chi non vuole fare la guida turistica a Palermo.
Diciamocelo, il nostro profilo LinkedIn è il piccolo tempio di venerazione della nostra identità professionale e lo curiamo come fosse un giardino zen: ogni cosa al suo posto, alla ricerca di un’armonia interiore ed esteriore. Ci rappresenta, è il biglietto da visita per entrare nel mondo degli adulti e trovare uno spazio nel mondo, un mondo che è governato dalla sfrenata competizione e dalle infinite competenze che dobbiamo sfoggiare continuamente, come ergastolani delle skill e dell’aggiornamento senza meta. Funziona e in molti sono felici. C’è solo un problema: la nostra identità professionale sta pericolosamente prendendo il sopravvento sulle altre potenziali identità, prevaricandole.
A volte ci penso e ne sono spaventato: quando mi presento alle persone la seconda domanda che più comunemente mi viene fatta, dopo il mio nome, è: che lavoro fai? Non voglio apparire naif, sia chiaro. E sono il primo a fare, il più delle volte, la stessa domanda al mio nuovo interlocutore: voglio sapere chi è e utilizzo il suo mestiere come principale strumento d’indagine. Quello che mi preoccupa è questo: perché ciò che facciamo determina in modo così forte il nostro posizionamento sociale e la nostra identità?
Come sostiene il filosofo Mark Fisher (in uno dei libri che vi ho consigliato!) uno dei migliori risultati del pensiero lavorista è stato quello di aver imposto ai lavoratori e alle lavoratrici un maggiore impegno: il rapporto non si limita più al solo piano produttivo ma si è pericolosamente allargato al piano emotivo.
Dobbiamo amare ciò che facciamo, le aziende per cui lavoriamo, dobbiamo adattare le nostre cerchie e gli spazi che occupiamo nella società affinché siano coerenti con la nostra mansione; persino il look e lo slang sono stati colonizzati da ciò che siamo forzati ad apparire. Insomma, siamo cosa facciamo. Tutto il resto sono caratteristiche secondarie. Curiosità, da ghettizzare negli hobby del nostro profilo Linkedin.
Non ti adatti? Biasimo.
E magari consigli non richiesti per guadagnare 30 euro l’ora.
Inventare il futuro - Nick Srnicek e Alex Williams.
Vi devo fare una confessione: l’ho presa un po’ larga. Questo libro non tratta solo di questo argomento ma cerca di smontare, uno ad uno, alcuni dei miti della nostra società. In copertina tre affermazioni che farebbero impallidire buona parte di noi, anche a sinistra: “Pretendi la piena automazione; Pretendi il reddito universale; Pretendi il Futuro”.
Partendo da una pesante - e puntuale - critica alle pratiche e ai sistemi di pensiero e di lotta degli ultimi quarant’anni, Srnicek e Williams ci accompagnano in un viaggio-manifesto che prova a ribaltare molte delle nostre convinzioni, a partire dall’habitus lavorista che il capitalismo ci ha imposto di vestire 24/7.
Consiglio di leggerlo, soprattutto come manuale di sopravvivenza ed evasione dall’asfissiante sensazione alla quale l’apparente mancanza di alternative alle narrazioni dominanti. Un libro semplice, forse in alcuni passaggi necessita di un approfondimento su episodi storici per chi non li conoscesse. Un’occasione unica per chi ama fermarsi, riflettere e cambiare idea.
Edito da Nero Edizioni può essere trovato online o prenotato nella libreria sotto casa.
Alcuni aggiornamenti
1) Quanto costa la mia indipendenza? Come già detto più volte non mi vedrete fare pubblicità sui miei account, non troverete mai gli hashtag “#AD” tra i miei post o le mie stories. Ho ricevuto parecchie proposte, soprattutto in queste ore, da parte di brand e case editrici. La risposta trasversale per tutti, come sempre, è no!
Il mio progetto è 100% Grassroots Politic, accetto solo sostegno dal basso! Una scelta che mi penalizza sul piano economico probabilmente ma che credo sia fondamentale per garantire la mia indipendenza. Rispondo al mio pubblico.
Ho attivato un account Buy Me a Coffe con cui potete offrirmi un caffè, come sempre solo se ve la sentite davvero. Grazie alle 84 sostenitrici e sostenitori di questi mesi.
Questa settimana ringrazio in particolare Gabriella, Nunzia, Giorgia, Caseki (?), Letizia, Chiara, Anthea, Humanbaobab, Valeria, Carlotta, Assunta, Sarah, Eleonora, Alice, Monica, Vanessa, Dana, Federica, Laura e Lorenzz (?)
Qui il link per chi volesse offrirmi un caffè virtuale, in attesa di berne uno tutt* insieme dal vivo -> Offri un caffè
PS: ad agosto/settembre magari possiamo organizzare qualcosa da qualche parte!
2) Un gruppo di ragazzi che sostengo e appoggio sta girando un corto su disuguaglianze, povertà ed emarginazione dal titolo eloquente: Eterno Silenzio. Qui il link per il crowdfounding, se volete sostenerli e guardare il trailer!
3) In queste ore tante persone stanno tornando a parlare di dignità del lavoro e di condizioni economiche ingiuste. Vi confesso, ho paura. Ho paura perché temo torni presto ad essere un argomento di nicchia, tra i tanti che restano ai margini del dibattito pubblico. Quando ho iniziato a parlare di povertà e disuguaglianze non si leggeva quasi mai di questi fenomeni sui giornali e non venivano coniati hashtag ad hoc. Quando ho iniziato sognavo che questo argomento diventasse più popolare e con un pizzico di soddisfazione posso dire di avere dato, insieme a voi, un contributo infinitesimale a questa battaglia. Oggi sembra che un granello nell’ingranaggio sia stato messo.
Ho paura però, ora che se ne parla ho paura che ce ne si dimentichi presto.
Vi chiedo di aiutarmi, perché ne abbiamo bisogno.
Sulla dignità della working class, ovvero di tutt* noi, c’è tanto da fare e non possiamo più permetterci di fare passi indietro. Non smettiamo mai di indignarci, di urlare, persino di sbagliare. Non facciamo di questa battaglia una moda, portiamola nel cuore e sulle spalle fino alla meta: la giustizia sociale.
Come diceva Stiglitz, nell’ultima lettura che ho consigliato, siamo il 99%.
Se restiamo uniti e vigili ci devono ascoltare.
Complimenti a tutt*, stiamo facendo un gran lavoro.
La Storia ci chiede di lottare, tutti i giorni.
Buona notte
Alessandro Sahebi