Nessun partito mi rappresenta
Ti ritrovi anche tu in questa frase?
Un partito tutto mio (tempo di lettura: 6,3 minuti)
A volte mi piace giocare con i pensieri, spingermi un po’ più in là del dovuto e costruire realtà verosimili per poter provare ad immaginare “come sarebbe il mondo se..”. In uno di questi viaggi ho immaginato - sia chiaro, per gioco! - di avere un partito tutto mio chiedendomi cosa avrei messo in cima alle priorità se avessi avuto la possibilità scrivere un programma elettorale da solo, senza mediazione alcuna.
Ve lo dico alla fine, prima provo a rispondere a tutti coloro che, in queste ore, mi hanno comunicato di non sapere per chi avrebbero votato alle prossime elezioni in quanto non si sentono rappresentati.
Ed è argomento correlato a questa premessa.
Nessun partito mi rappresenta.
Qualche giorno fa ho pubblicato delle stories in cui provavo a fare delle riflessioni circa la “non-scelta” del voto utile, ovvero l’adesione al meno peggio come forma di impoverimento delle possibilità di cambiamento (trovate le storie in evidenza sul mio profilo IG).
Molti tra i miei lettori e le mie lettrici nelle ore successive mi hanno scritto in privato: chi mi ha dato ragione, chi mi ha sollevato delle legittime critiche, chi mi ha implorato indicazioni di voto (che ansia!) e chi, con desolazione, mi ha confessato di non sentirsi rappresentato da nessun partito. Questa ultima posizione, onestamente, mi ha sorpreso.
”Che stranezza - ho pensato - da una parte l’Italia è uno dei Paesi con il più ampio spettro di biodiversità in termini di offerta partitica, trovo inverosimile che qualcuno possa non ritrovarsi in nessuna forma di rappresentanza collettiva”.
Dall’altra, e questo va detto, la nostra democrazia soffre da decenni di una progressiva emorragia di votanti e l’astensionismo, almeno in parte, potrebbe essere correlato a questo sentimento di disagio.
Così ho cominciato a scrivere e parlare con qualcuno di voi - per questo vi ringrazio - e ad indagare circa le cause che portano alcuni (troppi?) cittadini a non sentirsi rappresentati.
Customer dissatisfaction ma in cabina elettorale
Uno dei successi indiscussi dell’ideologia neoliberale è quella di aver portato il mercato fuori dal mercato. Gary Becker lo definiva imperialismo economico, ovvero l’estensione dell’economia neoclassica in nuovi territori, che apparentemente non hanno a che fare con l’economia. Ambiti come la famiglia, la sanità, l’istruzione o persino la soggettività (trasformata in “capitale umano”) sono stati travolti da un nuovo impianto cognitivo che ne ha cambiato la definizione: ospedali trasformati in aziende sanitarie, Università che vogliono attirare studenti con tecniche di marketing commerciale, professori valutati con metriche fordiste. E poi noi, mutati radicalmente da cittadini attivi in passivi consumatori della migliore offerta politica.
Un tempo il partito era il luogo dove le persone cercavano di evadere dall’individualità per costruire un futuro migliore e un progetto collettivo in grado di farle transfugare dalla miseria della quotidianità, similmente a quanto accade con le religioni.
Oggi dal partito ci aspettiamo un programma accattivante, pronto, su misura. Se questo non ci piace si attiva in noi la customer dissatisfaction, l’insoddisfazione del consumatore, che il più delle volte si limita al sacro diritto al non acquisto, o al non voto.
Dato che nessun partito è un grado di rappresentarmi perfettamente scelgo dunque di non scegliere, un po’ come quando da Zara non trovo la mia taglia o il colore del pantalone che volevo abbinare ad una camicia e me ne esco dal negozio come se nulla fosse.
Necessitiamo tutti dunque di una sana distinzione: il voto non è un capo d’abbigliamento ed è perfettamente normale che un progetto collettivo possa non soddisfarci pienamente, dobbiamo solo accettare che la rappresentanza non può mai coincidere perfettamente con la piena identificazione, se così fosse dovremmo cominciare a preoccuparci.
Un programma politico è, in un partito sano, il frutto ammaccato di lunghi processi di discussione, polemiche e conflitti. Non ritenere che il prodotto finale sia pienamente soddisfacente ci ricorda che la mediazione, in una società democratica, è un processo difficile e doloroso ma necessario, un processo che ci pone violentemente di fronte all’evidenza che oltre all’Io c’è un Altro e con l’Altro, anche se non ci piace, in una comunità prima o dopo dobbiamo farci i conti.
I partiti non sono brand da consumare individualmente con lo scambio meta-monetario del voto, l’esistenza dei partiti è innanzitutto un diritto garantito dalla Costituzione. Se di un partito non ci piace qualcosa possiamo sempre iscriverci e affrontare lo scontro in assemblea. O, se proprio non siamo nelle condizioni di farlo per manifesta diversità, possiamo addirittura fondarne uno nostro.
Non sentirsi rappresentati, a volte, è disabitudine al confronto e interiorizzazione di una visione della politica passiva e depressiva.
E sia chiaro, questa è innanzitutto un’autocritica.
Abbiamo tempo di partecipare?
Tuttavia deve esserci qualcosa oltre alla customer dissatisfaction. Nel bel mezzo delle conversazioni che ho intavolato con voi ho posto a tutti una domanda volutamente provocatoria: i programmi, di solito, li leggi tutti?
La totalità dei rispondenti, me compreso se mi fossi posto la medesima questione, ha candidamente ammesso di no, spesso il voto è un atto di fiducia che si costruisce superficialmente, con uno scarso o insignificante investimento in tempo per prendere una decisione o mettersi in gioco.
Che sia dunque il tempo, o meglio la sua penuria, la chiave dell’epidemia di spoliticizzazione che stiamo affrontando?
Diritto all’ozio politico, la madre di tutte le battaglie
Ci stiamo spoliticizzando a causa della mancanza di tempo? L’accesso al tempo determina la nostra partecipazione alla vita collettiva: se non abbiamo tempo non abbiamo risorse per informarci, non possiamo incontrarci con gli altri, non riusciamo ad organizzarci e ad appassionarci.
Tutti i diritti che abbiamo sono sotto attacco se ci viene sottratto il tempo che potremmo dedicare all’ozio politico. Ozio politico non è attivismo, né mobilitazione, né candidarsi al Parlamento: non tutti siamo portati per questo, non immediatamente.
L’ozio politico è ciò che accade prima di diventare agente politico attivo e che può essere goduto a pieno solo quando le nostre attività ordinarie non ci schiacciano: leggere un programma, chiaccherare con uno sconosciuto informandosi, partecipare ad un evento pubblico. Ozio politico è la possibilità di accedere gradualmente a noi stessi in una veste nuova, riscoprire l’essere cittadino, conoscerci in quanto animali sociali. Riprendere spazio per pensarsi collettività. Ozio politico è anche una conversazione di qualche ora con un’amica, di fronte ad un caffè o al parco, senza il ricatto mosso dal senso di colpa per aver perso tempo in attività non produttive o a bassa intensità adrenalinica.
Non ci mancano i mezzi per arrivare alle informazioni, ci mancano le risorse mentali e la concentrazione per raccoglierle e farle fermentare, con calma e con tempo, negli spazi materiali e immateriali che solo l’ozio politico può darci.
Il mio partito: cambiare la Costituzione
Resta una contraddizione apparentemente insanabile: per lottare contro la scarsità di tempo, abbiamo bisogno di tempo che non abbiamo. Un circolo vizioso introdotto dal talento perverso del capitale, come lo definisce Fisher, che è un problema drammaticamente reale. Come il filosofo inglese anche io devo ammettere che per scrivere questa mail ho dovuto usare delle ore di sabato e metà mattina di domenica, accumulando stress e posticipando alcuni progetti che, consegnati in ritardo, so già mi genereranno malessere e conflitti con i miei collaboratori la prossima settimana.
Non è una questione di postura politica, è salute mentale.
La penuria di tempo deve essere politicizzata, deve diventare tremendamente scandalosa e posta in cima ai programmi dei partiti. E non solo.
Se avessi il mio, di partito, proporrei innanzitutto di spingersi in là e fare del tempo un vero e proprio diritto inalienabile. La mia è una fantasia, lo so, ma nel mondo che vive solo nella mia testa per fare questo dovremmo essere così radicali da dover pretendere che l’articolo 1 della nostra Costituzione debba essere riscritto.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata
sul lavorosull’ozio.
Riconoscere l’ozio come diritto significherebbe liberare la politica dai processi performativi-elettorali prodotti dall’imperialismo economico e ridarle forma dal basso, caricarla di contenuti.
E soprattutto ci imporrebbe di ritrovare un sano disprezzo verso coloro che il tempo libero, per interesse parassitario sulle nostre esistenze, ce lo tolgono.
La mancanza di tempo non è solamente una condizione impersonale e intrinseca alla società, è il bottino ingiusto della predazione sistematica e quotidiana operata dalla classe dei dominatori sugli ultimi. È il padrone di casa che ti chiede un affitto folle (costringendoti a lavorare più di quanto vorresti), è il datore di lavoro che non si accontenta del tuo sforzo produttivo ed esige uno sforzo emotivo, è la mercantilizzazione di ogni forma di svago che impone il pagamento una subscription per usufruire di qualsiasi prodotto creativo.
Parlare di tempo senza evidenziare la causa della sua mancanza è rifiuto del conflitto utile a sollevare qualche like e vendere qualche libro. Ma non è mai parte di un processo di emancipazione sociale.
Chi ti toglie il tempo è il responsabile primo della tua spoliticizzazione. Dovremmo normalizzare questo assunto, innanzitutto.
I diritti negati si riaffermano solo attraverso le battaglie. Quella sul tempo, scandalosamente lontana dalle prospettive di molti partiti, è paradossalmente una delle più importanti da combattere. Se non, per usare un termine in voga un tempo, la madre di tutte le battaglie.
Non dovremmo cominciare a combatterla, fuori dalla testa dei sognatori, anche in questo mondo?
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<3Nella pagina eventi del mio sito (che uso davvero poco!) trovate le prossime date. Bologna, Milano, Vicenza, Cremona, Lecce, Parigi, Sanremo e Empoli sono le città in cui parteciperò a conferenze.
In tanti mi chiedete: “Ma perché non passi a CittàX?”. Non è una mia scelta, non ho la capacità organizzativa di progetti strutturati, vado dove mi invitano :) Potete però chiedere a partiti, sindacati, movimenti e associazioni della vostra città di organizzare un evento con me, se l’evento non è a scopo di lucro chiedo solo il rimborso spese e un’offerta libera e volontaria :)
Sarei particolarmente felice di fare qualcosa al Sud e nelle Isole, aree dove la cultura purtroppo non arriva sempre, in cui i cittadini e le cittadine sono incolpevolmente marginalizzati.
Qui la lista eventi
Per chi può e gli va, vi aspetto!
Buon riposo a tutti, per chi andrà in vacanza.
E che sia agosto tutto l’anno, tutti gli anni, lavorando solo un mese!
Un abbraccio,
Alessandro
Caro Alessandro, credo che alcune cose che scrivi siano condivisibili e mi piacciono molto ma, questa campagna sul voto utile mi sembra veramente qualunquista e confusiva soprattutto x chi non legge e approfondisce le questioni, ovvero i lettori dei post e basta, che sono la maggioranza. Te lo dico francamente, io voterò il P.D. anche se non mi rappresenta completamente, anche per colpa mia, non partecipo all'attività del partito e quindi non concorro al cambiamento di linea politica . Più che mai oggi è doveroso porre un argine alla deriva di destra e razzista che sta prendendo questo paese e mi spenderò nella campagna elettorale per cercare di aiutare il PD ad avere voti in più. Non concordo neanche molto sul discorso che fai rispetto al tempo, ho sempre lavorato a tempo pieno, ho cresciuto una figlia, mi sono occupata della casa, la spesa e il resto da sola, ho sempre letto e mi sono sempre informata, non è il tempo che manca, ma la passione il desiderio reale di credere nelle cose, oggi purtropo in giro c'è disinformazione e disinteresse. Il discorso è lungo...con stima Donatella Ghizzi.