Alessandro Sahebi

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Essere creativi è un privilegio economico

alesahebi.substack.com

Essere creativi è un privilegio economico

Se nasci povero hai meno possibilità di raccontare il mondo

Alessandro Sahebi
May 22, 2022
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Essere creativi è un privilegio economico

alesahebi.substack.com

Chi ha dovuto rinunciare ad uno stage non retribuito perché sentiva il peso delle bollette da pagare. Chi non ha avuto l’opportunità di frequentare costosi master o corsi di avviamento alla carriera. Chi magari ce l’ha fatta, indebitandosi, ma una volta entrato nell’ambiente si è accorto di non essere in possesso dei codici non scritti che determinano la postura di classe delle élite culturali e ha subito discriminazioni. Chi non ha avuto il network, chi non aveva la raccomandazione. Chi non ha avuto una seconda possibilità, chi il tempo, chi le energie. Chi è crollato, chi è caduto, chi si è fatto male.
Le industrie creative possono essere un inferno. O meglio, possono essere un paradiso atipico: il posto dove si materializza il sogno di una vita ma al contempo un luogo popolato di demoni e paure. I demoni della povertà e dell’inferiorità di classe, ad esempio, non ti abbandonano mai, nemmeno quando credi di aver raggiunto il tuo obiettivo.
Caliamo la maschera: c’è un problema di rappresentazione del reale che non può più essere nascosto sotto il tappeto. Perché per troppe persone il settimo cielo dell’industria creativa non è che uno dei tanti gironi dell’inferno terrestre prodotto da un sistema ingiusto.

Caliamo la maschera sulle industrie creative. 

Una nicchia di classe che determina la narrazione della realtà escludendo storie, opinioni, punti di vista e traumi della maggior parte degli individui che popolano la parte inferiore della piramide sociale.
Giornalismo, divulgazione, creativity, media, intrattenimento e arte: appartenere alle élite culturali è un privilegio spesso non pienamente meritato. 

Secondo il Creative Industries Policy and Evidence Centre, le persone provenienti da ambienti privilegiati hanno il doppio delle probabilità di essere impiegate nelle industrie creative rispetto a quelle provenienti da ambienti umili. E solo il 28% di coloro che lavorano nei settori cinema, Tv, video e fotografia provengono da background di classe inferiore e spesso non occupano posizioni apicali.
Chi descrive il mondo, chi fa informazione, chi racconta storie e chi fa lunghi caroselli spiegando nei dettagli quale sia l'ortoprassi delle giuste battaglie contro il privilegio, spesso nel privilegio ha avuto origine.
Saccheggio delle esperienze di classe: nei salotti che contano ci vanno a parlare sempre i soliti, persino quando bisogna discutere di disagio sociale o delle ingiustizie nel mondo del lavoro. Appropriazione della narrazione del mondo, esclusione della moltitudine. 

Non ci sono studi - almeno non ne ho trovati di recenti - sulla situazione italiana ma mi è bastato riportare l’argomento sul mio profilo Instagram per essere inondato di storie, audio, mail, sfoghi. Per tante e tanti è semplicemente stato liberatorio veder messo nero su bianco quel che negli ambienti culturali è sepolto da tempo sotto una coltre di omertà: dietro alle foto e le stories che raccontano di serate di gala, dietro alle stucchevoli interviste e alle live autobiografiche, dietro ai selfie con occhiali da intellettuali mentre si lavora al computer c'è molte volte molto di più. C'è una massa di esclusi dalle industrie creative che cerca di imitare la postura di classe di chi "ce l'ha fatta” nella vana speranza di raggiungerne la vetta. Poche o nessuna riflessione circa i mezzi di partenza con cui le élite culturali hanno conquistato il vertice della piramide.
Sia chiaro, questo non vuol dire colpevolizzare chi ha avuto la fortuna di studiare nelle migliori scuole, chi si è potuto permettere di essere per molto tempo improduttivo accumulando esperienza da riportare nel CV o chi ha avuto il giusto network. Ma bisogna prenderne atto: il vantaggio competitivo da cui nasce il successo dei pochi è il risultato di un gioco ingiusto, ovvero dell’ingiusta distribuzione di ricchezza del nostro sistema e, di conseguenza, del capitale sociale e culturale.
Al netto dell’impegno, che c’è sempre ma non basta mai da solo. 

Il disagio di chi galleggia

Non basta lavorare nelle industrie creative per scampare dal rischio di sentirsi escluso o esclusa. Si può rimanere marginali anche dall’interno, anche quando immoliamo gran parte del nostro tempo in quel lavoro tanto agognato. Negli ambienti culturali i codici non scritti che ne regolano le dinamiche possono essere spietati. Rispondere ad una domanda apparentemente banale quale “Dove hai studiato?” può far cambiare l’opinione che il nostro collega o il nostro capo hanno di noi, anche involontariamente e anche in buona fede. All’interno del settore si formano a volte delle tribù, chi sulla carta è il migliore si autoconserva riconoscendo e proteggendo il proprio simile senza rendersene spesso conto. Replicando, esponenzialmente, la disuguaglianza di partenza.
La sensazione di molti dei traditori di classe che sono riusciti ad entrare nelle industrie creative, almeno dalle decine di mail che ho ricevuto in meno di 24 ore, è quella di vivere con un soffitto di cristallo sulla testa: chi viene dalla melma non può salire molto più in alto, non può quasi permettersi di aspirare ad arrivare ai vertici. Perché i vertici sono riservati a chi l’essere élite ce l’ha nel cognome, nella cerchia sociale, nel modo di parlare o di conoscere.
Si cerca di trasformarsi in camaleonti e adeguarsi ma la provenienza di classe non si lava via, nemmeno strofinando a fondo. 

La mia storia, in breve

Un rapporto del NCTJ ha rilevato che circa l'80% dei giornalisti proviene dai due decili superiori (il top 20%) della piramide sociale, con un aumento di sovrarappresentazione dell’8% rispetto al 2016. Secondo i dati, l'84% dei giornalisti e il 73% dei redattori ha un background di classe superiore. Anche in questo caso dati sul caso italiano non ne ho trovati ma chi è giornalista come me sa bene che un carotaggio dei cognomi di una qualsiasi redazione prestigiosa porterà ad alberi genealogici le cui radici sono ben piantate nel privilegio. Basta leggere con attenzione le firme delle testate più note del resto.
“Però io ce l’ho fatta! Non è sempre vero”. Questa è una considerazione che mi è stata fatta spesso in queste ore, soprattutto da colleghi della stampa. C’è un problema metodologico molto evidente in questa tesi: se dovessimo basarci solo sulla nostra esperienza potremmo pacificamente affermare che il Sole si muova nel cielo e che la Terra resti ferma dov’è al centro dell’Universo (che è ciò a cui abbiamo creduto per migliaia di anni per un eccesso di fiducia nell’occhio umano). In ambito scientifico questo inciampo si chiama “anecdotal evidence”, ovvero la proiezione e la successiva generalizzazione di ciò che ho empiricamente osservato, senza alcun metodo e senza alcun interesse circa i dati.
C’è chi ci riesce, è vero, ma si tratta di eccezioni minoritarie. E io sono tra queste.

Potrei dire di avercela fatta, qualsiasi cosa significhi questa maledetta frase, ma la verità è che sto facendo ancora oggi tanta fatica. Devo integrare la mia attività di divulgazione con un secondo lavoro, non stacco mai e faccio fatica a coltivare le relazioni con le persone che amo. Ho pochissimi amici, pochissimo svago. Non riesco a fare tutto quello che vorrei perché non ne ho il tempo e nelle redazioni nei miei confronti c’è molta diffidenza perché non sventolo pezzi di carta di prestigiosi master. Ci ho fatto il callo e ho imparato a decostruire le dinamiche tossiche ma soffro ancora tanto per questo. Profughi di classe si resta per sempre, almeno finché non assisteremo ad un cambio radicale.

Sto scrivendo un libro che sarebbe dovuto uscire a settembre ma che potrà veder la luce, se ho fortuna, solo a fine anno. E di questo non ne sono nemmeno sicuro: la sera, quando torno a casa, sono troppo stanco per poter scrivere qualcosa di sensato.
Secondo l’economista Sendhil Mullainathan e lo psicologo comportamentale Eldar Shafir chi è povero paga una tassa sulla mente che riduce l’energia e la creatività: mi sta succedendo esattamente questo. Come ricorda Ann Bauer, e prima di lei Virginia Woolf, non avere un sostegno materiale può determinare il successo o l’insuccesso della nostra produzione artistica. “Se non mi mantenesse mio marito - scriveva la Bauer nel 2015 - sarei a pagina 52 del primo romanzo.[…] Non ne parla nessuno, di soldi non si parla mai”. Io leggo amaramente queste righe, io che nemmeno ci sono arrivato a pagina 52 . E no, non nascondo più la frustrazione nel vedere colleghi pubblicare con la stessa frequenza con cui io finisco una pagina.

Ho iniziato a lavorare in un fast food a 18 anni non per emanciparmi ma perché non ho avuto scelta, ho fallito tante volte negli studi, ho sbagliato quasi tutto quel che si poteva sbagliare. Ma se sono qui a scrivere, nonostante tutto, è perché ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che, in mezzo agli innumerevoli errori causati dalla povertà, non ha mai smesso di ricordarmi quanto sia politica la vita dell’individuo.
E forse sono qui anche perché ho avuto paura: paura di farmi schiacciare, di compromettermi, di diventare come tanti colleghi annichiliti dal lavoro e totalmente sradicati dalla loro dimensione collettiva.
Alle elementari ho chiesto a mia madre quale fosse la differenza tra sinistra e destra e lei, forse spiazzata, mi ha risposto laconica: “La destra sta con i ricchi (i pochi), la sinistra con i poveri (i molti)”. E quel giorno ho deciso da che parte stare.
Vero, a distanza di un quarto di secolo ci sarebbero tante considerazioni da fare su questa sintesi ma nella sua semplicità credo sia stata abbastanza efficace da farmi capire, già allora, che “noi poveri” da soli non possiamo fare niente per controbilanciare lo strapotere economico, nemmeno se ci autodistruggiamo dallo sforzo e se ci annulliamo.
Se ci uniamo, invece, cambiano i rapporti di forza e a quel punto ci devono ascoltare. Sono costretti.
L’unione, questo è stato l’unico mezzo con cui gli ultimi hanno ottenuto qualche cosa nella Storia. Vale la pena ricostruire forme di rappresentanza collettiva e non caricarsi, come individui, del fardello di un privilegio mancato.
E bisogna tornare a pensare all’impensabile perché, per progredire, il pensabile ad un certo punto dovrebbe cominciare a starci stretto.
Altrimenti è stagnazione e nello stagno tutto muore.

Pretendi il reddito di base universale, non è un’utopia!

Cosa succederebbe se ad ognuno di noi venisse dato un reddito minimo necessario a liberare l’infinito potenziale che oggi è imprigionato nelle catene del bisogno?
Il Reddito di Base Universale è una delle poche soluzioni percorribili per eliminare le ingiustizie di classe, anche nel campo creativo, e ridare giustizia ad uno dei settori più ingiusti.
L’arte, l’informazione, la cultura e lo spettacolo sarebbero rivoluzionate: quali strade inesplorate prenderebbe l’Umanità se si cominciasse a dare spazio agli ultimi e si permettesse loro di creare senza costrizioni esterne? Ne guadagneremmo tutti, in termine di progresso e di crescita spirituale e no, non è un’utopia. Un reddito a tutte e tutti, incondizionato e in grado di ridare dignità alle persone.
Si può davvero fare? Dopo aver letto questo libro forse superererete ogni scetticismo:

Il reddito di base: una proposta radicale - Philippe Van Parijs, Yannick Vanderborght (Ed. Il Mulino)

L'idea, ardita e controversa, di riconoscere un reddito di base a ogni individuo, ricco o povero, senza chiedere in cambio contropartite lavorative non piace, almeno ai più. Si tratta di rimettere in discussione l’idea di denaro, di lavoro, di produzione artistica e persino di società.
In questo libro ci sono le basi politiche, ideologiche ed economiche per rimettersi in discussione e superare la convinzione che il Reddito di Base sia un’idea ingenua. Gli autori rispondono alle obiezioni di natura etica rivolte a tale proposta in modo puntuale, cercando di farci cambiare lo sguardo sul mondo.
Alcuni capitoli sono (economicamente) tecnici, altri molto filosofici. Può essere letto saltando qua e là, nel tempo, senza fretta. Ma non può mancare nella nostra libreria, è uno strumento necessario anche a tenere il dibattito con amici, conoscenti e parenti (soprattutto in vista del pranzo di Natale 2022, dal quale proveremo a lanciare la rivoluzione. Giusto?). 

Da questa settimana ho iniziato una collaborazione con la libreria Tlon, da cui vi consiglio di acquistare. So che le grandi piattaforme sono più efficienti e veloci, è innegabile, ma scegliere una libreria indipendente significa sostenere chi la cultura la fa, non chi la sfrutta. Significa liberare la cultura dall’ossessione per il profitto e per il consumatore, ridare ossigeno a chi scrive e a chi la promuove. 
E significa sostenere me, il 5% delle vendite mi verrà corrisposto (ci tengo ad essere chiaro su questo). Insomma, se vi va e potete qui il link per acquistare il testo:
Compra su Libreria online Tlon

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Ultime novità per te

1) Melma il Podcast è fuori

Sul reddito di base è uscita una nuova puntata del mio podcast Melma. Lo trovi in tutti i luoghi online dove ascoltare podcast!
Inoltre, come forse sai, in Europa si stanno raccogliendo firme per l’istituzione di un reddito di base universale. Ad oggi, anche grazie al lavoro della redazione di Melma, abbiamo raggiunto il 97% delle firme necessarie in Italia. Fammi un regalo: se non l’hai ancora fatto firma, se un quarto di coloro che leggeranno questa mail lo faranno avremo raggiunto l’obiettivo. Qui il link: https://eci.ec.europa.eu/014/public/#/screen/home

2) Se vuoi aiutarmi
Sai come parte del mio lavoro sia oggi possibile grazie a coloro che mi sostengono con un caffè o con una membership di un caffè mensile. 

638 donatori e donatrici hanno sostenuto il mio lavoro fino ad oggi e non mi vergogno a dire che senza la mia community probabilmente non ce la farei.
Puoi saltare e pensare che qualcun altro lo farà al posto tuo, forse è così, però ogni caffè è per me e per il mio lavoro fondamentale. Anche il tuo, sperando di poterlo bere presto dal vivo.
Se non lo farai come sempre non importa, continuerò ad essere inclusivo con tutti e tutte e i miei contenuti qui non saranno mai a pagamento.
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3) ‘Sta campanella di Instagram per non perdere i miei post
Due mesi fa il buon Zuck mi ha penalizzato il profilo IG, forse perché volevo tassarlo. Ora pare che il mio profilo abbia fatto pace con Instagram ma per sicurezza ti darò un consiglio: puoi andare sul mio profilo, in alto a destra c’è una campanella per non perdere i miei contenuti. Puoi attivare le notifiche per i miei post o le mie stories Diciamo che è un buon modo per non perdersi di vista, se ci tieni a quel canale di comunicazione.

4) Grazie.
Per ogni segnale di sostegno. A volte non rispondo a tutte e tutti, lo so, state diventando tantissim*. Ma faccio del mio meglio, ci tengo a farvelo sapere.
Quest’estate sarò per eventi a Roma, Napoli, Verona, Padova, Parigi e (coming soon nuove date).
Spero di vedervi dal vivo, per un abbraccio vero.
Grazie di essere arrivato o arrivata fino a qua.

Con affetto
Alessandro Sahebi

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Essere creativi è un privilegio economico

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3 Comments
Giulia
Aug 29, 2022

Qualsiasi cosa tu scriva mi vengono le lacrime. Nessuno descrive la povertà e la sensazione di fallimento che ne consegue come lo fai tu. Grazie per quello che fai, Alessandro.

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M∆B
Jun 1, 2022

Ciao Alessandro e grazie per questa testimonianza. Prima volta che ti leggo e mi sono subito iscritto. Ti scrivo solo che, in maniera un po' più succinta, avevo scritto anche io a riguardo: https://www.marianobelmonte.it/2022/05/casta-giornalistica/

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