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Sto per diventare padre, così pare. Un desiderio profondo che, in queste ore, si intreccia inaspettatamente con il vortice della cronaca politica, dove un tema particolarmente spinoso domina la scena: la gestazione per altri, o come preferiscono chiamarla con disprezzo i salotti mediatici, utero in affitto.
Proprio mercoledì, il Parlamento ha approvato in via definitiva la proposta di Fratelli d'Italia che eleva la gestazione per altri a “reato universale”, ovvero perseguibile in Italia anche se realizzata oltreconfine.
Non intendo addentrarmi nei dettagli di una norma che considera intrisa di ideologia e sovradimensionata nella sua severità. Piuttosto mi interessa provare ad esplorare il sottotesto che questo dibattito solleva se proviamo ad alzare lo sguardo: fino a dove può spingere il soddisfacimento di un desiderio individuale come quello di avere dei figli? È giusto che la moralità collettiva possa imporre ad un singolo norme restrittive alla sua volontà? E, soprattutto, davvero crediamo che uno slogan quale Sul mio corpo decido io sia sufficiente e, permettetemi di dirlo, abbastanza di sinistra, per sostenere un dibattito così importante?
La gestazione per altri: diritto o espressione del capitalismo totalitario?
Non ho alcun interesse a vestire i panni dell'influencer progressista che trae un sottile e quasi perverso compiacimento dall'ascesa di un governo di destra, solo per aver materiale per i contenuti che fungono da "comfort food" intellettuale per i propri follower. Non trasformerò dunque questa newsletter in un semplice attacco alla “fascista Meloni”.
Non approvo la norma, lo dico chiaramente, perché diffido sempre delle politiche che puntano esclusivamente alla repressione. Tuttavia la questione della gestazione per altri (GPA) mi ha sempre suscitato dubbi profondi, probabilmente influenzati dalla mia formazione marxista.
Se tralasciamo infatti i casi della gestazione gratuita e altruistica, la GPA si presenta, nella sua essenza, come un rapporto mercantile e dalla moralità liberale: una donna “terza” che cede l'uso del proprio corpo da una parte e una coppia disposta a pagare, e a pagare caro, per - come direbbe la destra - affittare un utero per 9 mesi e ottenere in cambio un bimbo o una bimba, dall’altra.
La donna decide di sottoporre il proprio corpo alla legge della domanda e dell’offerta e ad uno stress che spesso provoca conseguenze psicofisiche permanenti, gli acquirenti esercitano il potere del denaro per soddisfare un loro bisogno di diventare genitori.
Il tutto contrattualizzato.
A questo punto, la questione può essere affrontata seguendo due direttrici. Possiamo scegliere la via della semplificazione, sostenendo che ognuno abbia il diritto inviolabile di disposizione del proprio corpo come meglio crede. Oppure possiamo chiederci se la collettività non debba, legittimamente o no, stabilire dei limiti alla mercificazione delle nostre vite e della nostra umanità.
I limiti morali del mercato
Non è sufficiente l'incontro tra domanda e offerta per legittimare un mercato, né basta la volontà degli individui di disporre del proprio corpo come meglio credono per giustificare qualsiasi transazione. Se davvero accettassimo senza riserve il principio della mercificazione totale e l’assoluta libertà di disposizione fisica, dovremmo anche tollerare che una persona possa vendere se stessa in schiavitù, o cedere un rene, un braccio, come merce di scambio. Certo, sarebbe una limitazione dello Stato impedirlo, ma la funzione dello Stato è proprio quella di riportare l’individuo a una dimensione di benessere collettivo.
La vendita di un organo, in sé, non farebbe male a nessuno, genererebbe anzi da un punto di vista economico lavoro e tasse. Tuttavia rappresenterebbe un’aberrazione fondamentale: l’integrità fisica non è soltanto un affare privato tra venditore e acquirente, ma un principio che appartiene alla collettività e che la nostra Costituzione difende.
Similmente, la gestazione per altri (GPA) solleva questioni che non possono essere ridotte a una banale transazione commerciale.
In primo luogo, emerge una dinamica di classe ineludibile: è praticamente impensabile che una persona in una condizione di benessere economico e sociale scelga di affittare il proprio corpo per una pratica tanto totalizzante e soprattutto rischiosa quale è una gravidanza.
Il quadro reale è quello di una prevalenza di donne provenienti da contesti di povertà, spesso dai cosiddetti Paesi del Terzo Mondo (termine orribile), che affittano il proprio utero per soddisfare le esigenze di coppie ricche.
Certo, chi afferma l’utero è mio e lo gestisco io rivendica di decidere sul proprio corpo, e ciò è sacrosanto. Ma questa specifica questione evidenzia come il corpo su cui si decide raramente sia quello di una persona bianca, high-educated con spazi mediatici significativi.
Insomma, credo che nella maggior parte dei casi chi decide di vendere il proprio corpo nella GPA lo faccia più per un’urgenza personale di stampo finanziario che per rivendicare i diritti di chi non può procreare.
Questo squilibrio socioeconomico è già, di per sé, un campanello d’allarme se analizziamo la questione da un prisma interpretativo socialista.
In secondo luogo, esiste una questione di benessere psicofisico. Numerosi studi evidenziano il trauma psichico che molte madri surrogate subiscono, non a causa di un’imposizione culturale e patriarcale della maternità, ma perché nei mammiferi – e quindi anche nell’essere umano – il legame tra madre e figlio è simbiotico, e la GPA interrompe questo rapporto.
Chi tutelerebbe, davvero, chi cede il proprio corpo per necessità?
Non sembra nel dibattito esserci una profonda attenzione per le madri surrogate più povere ed emarginate, per le quali, sebbene la letteratura raccomandi supporto psicologico, sappiamo che tale sostegno spesso manca nelle situazioni di disagio socioeconomico.
La vera domanda dunque è: può lo Stato imporre limiti morali al mercato e invadere lo spazio privato? La risposta è che sì, deve farlo, anche se questi limiti sono sempre soggetti a dibattito, influenzati dalla cultura, dalla storia e dallo spirito del tempo. Sono imperfetti, imprecisi, e a volte sbagliati (si pensi ai totalitarismi). Ma affrontare una questione tanto complessa arroccandosi esclusivamente sul diritto individuale di disporre del proprio corpo o sull’idea di un mercato senza confini non è forse sufficiente.
Lo Stato del resto impone limiti costantemente: alcuni sono odiosi, altri sbagliatissimi, ma molti sono necessari. Perché ricordano a tutti noi che, oltre a essere individui, siamo anche animali sociali, e non possiamo esistere solo come prodotti di un egoismo individualista senza freni.
La GPA, giusta o sbagliata?
Non credo di avere, al momento, tutti gli strumenti necessari per rispondere alla domanda cruciale: GPA, sì o no? Ho dubbi profondi, che non considero affermazioni definitive, e spero che qualcuno possa aiutarmi a esplorarli senza scivolare nella polemica sterile e superficiale tipica dei social. Perché, in fondo, il dibattito – quando è sano – dovrebbe fare esattamente questo: accompagnare il singolo nel suo percorso di riflessione, senza stigmatizzarne i dubbi, senza ridurre le sue incertezze a motivo di schermo.
E sono proprio le mie perplessità individuali che voglio mettere al centro. Sto per padre, un figlio è in arrivo, e questo rappresenta per me la realizzazione di un sogno profondo. Ma la domanda che mi pongo è la seguente: come mi comporterei se non fossi stato nelle possibilità di concepire e avessi le risorse economiche per accedere alla GPA?
Perché è qui che risiede il cuore del dilemma: è giusto che il punto di vista di altri, o le prese di posizione ideologiche e identitarie di un partito come Fratelli d'Italia, influenzino così pesantemente la vita di una coppia che non riesce a procreare?
Si tratta di accettare che una ferita resterà aperta, per sempre. O pagare per lenire il mio dolore.
La risposta non è semplice, e forse non si trova in una posizione netta. Dovremmo interrogarci collettivamente: in questa dinamica, esistono solo i genitori e il loro desiderio, o ci sono altri attori – marginalizzati e spesso invisibili – come le donne surrogate, di cui non teniamo sufficientemente conto? Ma soprattutto: può una società fondarsi esclusivamente sul soddisfacimento del desiderio individuale, a prescindere dalle conseguenze per gli altri?
Io Alessandro Sahebi potrei, come singolo, decidere di accedere alla gestazione per altri pur conscio dei limiti e delle contraddizioni di tale pratica per colmare un mio bisogno ma, dall’altra parte, posso essere io giudice di una questione più ampia per il solo fatto che riguarda me e mi porterebbe un beneficio? Può un mio desiderio avere priorità sulla riflessione morale e collettiva necessaria quando un tema così delicato e ampio deve essere affrontato?È una domanda che possiamo estendere ben oltre la GPA. Potremmo applicarla alla riduzione delle disuguaglianze, o alla crisi climatica: fino a che punto l’ "Io voglio" individuale può essere considerato un diritto inalienabile? E quale prezzo siamo disposti a pagare per appagare ogni desiderio che il mercato può soddisfare a Sua Maestà l’Ego?
Una società sana
Una società non dovrebbe ridursi a un mero ufficio per il soddisfacimento dei bisogni individuali, poiché spesso i desideri dei singoli hanno un costo, un'esternalità che ricade sulla vita degli altri, o non coincidono con ciò che la collettività ritiene giusto (pur riconoscendo che ciò che la società giudica giusto non è sempre, in sé, tale). Una società sana dovrebbe dotare i suoi membri degli anticorpi contro la frustrazione del desiderio, non alimentare l’illusione di un orizzonte infinito di appagamento attraverso il mercato. Questo significa costruire una cultura della genitorialità che sia equilibrata, in cui non ci si senta sotto pressione se non si diventa genitori biologici, e in cui forme di genitorialità non genetiche, come l’affido e l’adozione, siano accessibili più rapidamente.
Significa, altresì, fornire strumenti gratuiti e accessibili per la procreazione assistita, ma anche offrire un supporto psicologico a chi, purtroppo, si trova nella condizione di non poter mai diventare genitore biologico. Significa riflettere in modo serio sulla GPA gratuita e altruistica, che non può essere trattata come reato (come vergognosamente prevede la norma del Governo), poiché è un atto di solidarietà. Al contempo, è necessario discutere dei limiti che possiamo e dobbiamo imporre al mercato della genitorialità che, senza giocare alle anime candide, esiste ed è spietato. Questo non significa un no categorico alla GPA, ma implica che non possiamo limitarci ad affermare il diritto assoluto di disporre del proprio corpo senza considerare coloro che, al netto degli slogan bipartisan, si trovano costretti a venderlo imprigionati dalle catene della necessità economica.
Significa, infine, che una società deve rifiutare l’anestesia del mercato, quel meccanismo che genera le nostre paure e i nostri bisogni solo per venderci soluzioni temporanee. Soluzioni che ci tengono sospesi, fino al prossimo bisogno, fino alla prossima sfera del reale che verrà mercificata.
In un mondo che monetizza tutto – dalla sanità ai trasporti, fino all’istruzione – affermare che la collettività debba riflettere di fronte agli abusi del mercato è, in sé, un atto necessario.
Indipendentemente da come la si pensi sul caso l’argomento meriterebbe una riflessione più ampia e meno identitaria. Ma non sono alla ricerca di like e questa newsletter probabilmente piacerà a tutti. Tant’è.
Un abbraccio
A.
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So già che ci saranno voci perplesse in quanto un uomo, etero e cis si esprime su un tema che non lo riguarda direttamente. Esprimersi solo su temi che ci coinvolgono direttamente però è l’ideale individualista del capitalismo liberale: se ognuno pensa solo alle sue battaglie saremo sempre isolati e divisi. Il dibattito è sano se le voci direttamente coinvolte vengono ascoltate con attenzione ma non può limitarsi a questo. Al “microfono” della società dello show preferisco un parlamento democratico dove tutti, a turno, possano esprimersi.
Pubblico poco, scostante e a volte male. Ma non mi avete mai fatto mancare affetto e sostegno. Grazie di cuore per tutti i messaggi che mi continuate a mandare, perché con voi è come avere ogni giorno un abbraccio virtuale.
Come sempre in autunno sparisco, poi torno. Presto o tardi torno.È un maschietto.
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Ti ringrazio, spero di poterlo bere presto dal vivo:
Un abbraccio
Ale
Grazie per questa riflessione Alessandro. Da donna non voglio che altre persone decidano per il mio corpo, preferisco un sistema che protegge le mie scelte e forse, al posto di una legge che butta via tutto della GPA, ne servirebbe una che protegge la parte più fragile di questa pratica: le donne che offrono il proprio corpo per la gravidanza. Sarebbe anche importante che il sistema di cui sopra, aiutasse le coppie ad arrivare alla GPA solo dopo aver esplorato tutte le possibilità. Concordo sull'aspetto economico, ma non sarà una legge a fermare questo 'mercato'. Mi fa male vedere che manca un'idea di cura verso le persone in tutte le questioni più complesse e controverse, nelle quali servirebbe dialogo e confronto.
"Ma la domanda che mi pongo è la seguente: come mi comporterei se non fossi stato nelle possibilità di concepire e avessi le risorse economiche per accedere alla GPA?"
Io mi chiedo anche che senso ha che coppie con sufficienti risorse economiche per accedere alla GPA non possano accedere all'adozione? Quante coppie che scelgono la GPA valuterebbero l'affido e l'adozione se gli fosse permesso e in generale più facilmente accessibile e non stigmatizzato?